John Carruthers: “dumping” sportivo

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Nella giustizia, nella maggior parte dei casi, la colpevolezza o l’innocenza non sono stabilite in base al movente. Se la legge viene infranta, il movente può essere preso in considerazione per determinare la sentenza, ma non il verdetto. Questo perché è difficile valutare il movente, ma soprattutto perché solo le azioni possono essere giudicate illegali, non i moventi. Per esempio, una rapina armata non può essere giustificata dal bisogno di soldi, non importa quanto questo sia forte. Ciononostante coloro che propongono il “dumping sportivo” (come se ci potesse essere una cosa del genere) ci chiedono di credere che il movente sia di primaria importanza. [Si intende per “dumping sportivo” giocare a perdere di proposito, n.d.e.]

Sostengono che una squadra abbia il diritto (quasi l’obbligo) di perdere una partita di proposito se questo promuove le chances della squadra di vincere il torneo. In questo caso, la sconfitta volontaria è l’azione, e darsi più chance di vincere è il movente.

Sorgono due domande: (1) il dumping è un comportamento sportivo in altre circostanze? (2) Può il movente essere determinato con certezza?

Vediamo altri potenziali moventi per perdere di proposito. Un paio potrebbero essere: (a) migliorare le chance che qualcun altro si qualifichi o vinca un torneo; (b) guadagno economico personale; (c) migliorare la propria carriera. Per esempio, uno sponsor si offre di ingaggiarti se tu perdi una partita. Forse  qualcuno di questi moventi può essere  accettabile? Noi pensiamo (speriamo) che i fautori del dumping sportivo siano d’accordo che moventi come il guadagno economico, professionale, o degli amici non siano accettabili. Ma allora perché dovrebbe essere accettato che si perda una partita per altre ragioni, come ad esempio migliorare le chances di vincere della propria squadra? Forse questo movente è più nobile degli altri? E nel caso in cui le tue chances migliorassero se perdi una partita e qualcuno ti avesse offerto del denaro per farlo?

Non vogliamo discutere con la linea di pensiero secondo cui gli organizzatori debbano definire le condizioni di gara in modo da prevenire l’abbandono. Offrire vantaggi a chi finisce più in alto nei round-robin (come il diritto di scegliere gli avversari, carry-forward, …) sono un tentativo in questa direzione. Un’altra strategia è scrivere regole anti-dumping nelle condizioni di gara. Ma  questi metodi sono sufficienti?

Ci sono altri giocatori ed esperti che sostengono che sia sempre sportivo seguire le regole. Questo gruppo di persone si interseca, anche se forse non del tutto, con quello di coloro che credono che perdere di proposito sia leale. Però cosa succede se (a) le regole proibiscono il dumping in ogni caso, e (b) il formato del round-robin con delle regole mal scritte lascia aperta la possibilità che accada?

Per esempio, immaginiamo che verso la fine di un round-robin la squadra A possa impedire di qualificarsi a B, il suo avversario principale, se perde la partita contro la squadra C, ma perdere di proposito è proibito dalle regole. Cosa deve fare la squadra A? Seguire le regole, o perdere?

Sappiamo che le squadre sportive spesso perdono di proposito per migliorare le loro chances (la FIFA World Cup e la Lega Calcio Nazionale sono piene di esempi del genere) e c’è da sospettare che alcune squadre di bridge l’abbiano fatto in passato. Nelle arene sportive, il dumping è sempre proibito, e se succede non ci si può fare niente – è troppo difficile da dimostrare, e danneggia l’immagine del gioco. Nel bridge, il fatto che le condizioni di gara siano scritte per scoraggiare il dumping suggerisce che tale condotta sia quantomeno inappropriata.

Diciamolo forte e chiaro, perdere di proposito è sbagliato, indipendentemente dal movente. E non nascondiamoci dietro il tentativo di far scrivere alle autorità regole migliori. Se pensiamo che una legge sia sbagliata, non la violiamo per farla cambiare: e anche se questo dovesse succedere, chiamiamola “violazione sportiva”.

John Carruthers

(Bollettino IBPA n. 566 – Marzo 2012) – Traduzione italiana a cura di Laura Cecilia Porro per Neapolitan Club.

12/03/2012

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