Helen Sobel (by Turbin)

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Helen Smith nasce a Filadelfia nel 1910. Avrà quattro mariti, il secondo dei quali, Alexander Sobel, era un giocatore di livello internazionale; per questo sarà conosciuta come Helen Sobel. Fu una bella donna: fece parte di una rivista di varietà e, nel 1930, ebbe un’apparizione in un film dei Fratelli Marx, Animal Crackers.

 

 Imparò a giocare a bridge in questo periodo, le insegnò una ragazza della rivista; Helen non ha mai giocato col marito bridgista: lei era troppo forte per le sue prospettive. Nel 1937 venne chiamata da Culbertson nella squadra che doveva disputare il campionato del mondo open in Ungheria; fece coppia con Paul Vogelhofer, un giovane meno forte di quello che sembrava: di Vogelhofer non c’è traccia dopo il 1937, non è più neanche nell’Encyclopedia. La squadra americana del 1937 era data per favorita, ma la sua forza, Vogelhofer a parte, era minata dalla crisi dei Culbertson, crisi di gioco e matrimoniale: Ely e Josephine avrebbero divorziato pochi mesi dopo.

 Nonostante questi limiti gli americani arrivarono a battersi nella finale contro l’Austria, ma lì finì il loro cammino: gli austriaci forse erano meno forti individualmente ma avevano un sistema dichiarativo superiore; anche la squadra austriaca femminile vinse il titolo, giocando lo stesso sistema.

Negli anni Quaranta Helen vinse tutto, in America: il suo compagno è il Numero Uno: Charles Goren – In realtà Oswald Jacoby è più forte di Goren, ma gioca poco perché ogni volta che l’America va in guerra lui pianta tutto e si arruola volontario: vedi il suo Ritratto nel sito.

Nel 1957 Helen scende di nuovo in campo per il titolo mondiale, adesso si chiama Bermuda Bowl. Gli americani presentano una sola copia fissa, Ogust-Koytchou, e quattro spaiati che giocheranno in coppia secondo l’umore: gli altri tre sono Goren, Seamon, Leventritt. Verranno sconfitti dall’Italia. Nel loro libro “Bermuda Bowl” (1999 Five Ace Books, UK), Brian Senior ed Henry Francis indicano i due principali fattori della sconfitta: la mancanza di coppie affiatate e la superiorità dei sistemi dichiarativi italiani, il Fiori Napoletano ed il Fiori Romano. Per la seconda volta Helen arriva seconda perché costretta a partire con handicap indipendenti da lei; bisogna però ammettere che quegli italiani non erano battibili: si chiamavano Eugenio Chiaradia, Mimmo D’Alelio, Pietro Forquet, Guglielmo Siniscalco, Walter Avarelli, Giorgio Belladonna. Furono loro gli iniziatori della dinastia italiana nel bridge mondiale; “dinastia” è un termine usato da Senior e Francis.

Dopo il 1957 Helen continua a giocare e continua a vincere in America, ma non tornerà più nella lotta per il titolo mondiale, anche perché s’incrina la sua partnership con Goren. Nel romanzo di Richard Powell, “Biglietti per l’inferno” (vedi scheda del libro di gennaio), i personaggi di Carola ed Asso sono ispirati a loro. Nella finzione Carola litiga irreparabilmente con Asso, il suo compagno e maestro, a causa di un attacco di Re secco con esito sfortunato; anni dopo i due si ritroveranno ai campionati di primavera: lei adesso è una campionessa affermata, lui è sul viale del tramonto. Carola, che lo ama ancora, gli si offrirà per giocare insieme e dargli quelle vittorie che lo ristabiliranno al vertice.

Helen vince il suo ultimo titolo nel 1968: è il campionato a squadre miste con i due Jacoby (Oswald e James, padre e figlio), e Minda Brachman. Di questa vittoria dirà Oswald Jacoby: “Helen ha vinto da sola. Noi abbiamo solo fatto i compagni di squadra”. Un anno dopo muore a Detroit di cancro; aveva 59 anni. Oggi è considerata la più forte giocatrice di tutti i tempi.

(Fonti: Official Encyclopedia. ACBL Hall of Fame. Alan Truscott: “A Viennese Victory”, New York Times 21 giugno 1987, pag. 154. Brian Senior ed Henry Francis: “Bermuda Bowl”, 1999 Five Ace Books, UK)

 

Recensione: Winning Bridge, di Helen Sobel. 1950 Peter Davies editore, London. 253 pagine. Non è più distribuito, lo si può trovare di seconda mano.

Helen Sobel entra nel bridge con gli occhi stupiti di una bambina che vede nuovi mondi. Dal primo capitolo: “Scopro la rimessa in mano”:

“Penso che il bridge mi sia entrato nel sangue un certo giorno degli anni Trenta, quando accadde questo evento epocale. Ero dichiarante in uno slam a sei picche, contrato alla mia destra. L’avversario era partito con QJ10 di atout – avevo battuto asso e re – e certamente possedeva anche il re di cuori, sopra la forchetta A-Q del morto. Mi gingillai con le mie vincenti a quadri e fiori solo per ritardare il momento fatale; alla fine, sperando che il partner non fosse troppo severo sulla mia chiamata a slam, mi apprestai a fare il necessario impasse a cuori, e la Visione Apparve! Giocai invece picche ed Est, messo in presa, fu forzato ad uscire sotto il re di cuori, facendomi fremere di piacere ed autocompiacimento. Questa, per quanto ne sapevo, era la Nascita della Rimessa in Mano (non occorre dire che giocavo da poco tempo). Si può immaginare la mia delusione quando, qualche giorno dopo, scoprii che era stata già inventata…”.

La bambina cresce e diviene donna di grande tecnica e di grande sottigliezza psicologica. Al capitolo 18 parla della falsificazione dello scarto. Abbiamo Q105 in un colore; il morto mostra K942; il compagno ha probabilmente tre carte nel colore. L’asso è certamente in mano al dichiarante, il quale muove il due dal morto. Cosa mettiamo? La carta naturale è il cinque, ma se vogliamo intorbidare le acque scartiamo il dieci; la limpida Helen invece mette proprio il cinque. Il dichiarante passa il fante e fa presa, tutto contento; poi batte l’asso e lei – non più tanto limpidamente – gli scarta la donna: e adesso vediamo se il dichiarante oserà battere anche il re o penserà al dieci quarto in mano all’avversario di sinistra e gli farà l’impasse verso K9 del morto.

 Certo che averla avversaria al tavolo, questa donna, doveva essere un incubo. Certo che averla compagna doveva essere una delizia. Howard Dietz, un forte dilettante (giornalista e soggettista cinematografico: suo è il motto “Ars Gratia Artis” che si legge nel cartiglio intorno al leone della Metro Goldwyn Mayer), scrisse di lei:

“Se non riesci a giocar bene con Helen come partner, non sai giocar bene”.

      
   
   

  

 

 

 
 

 

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