Marina Causa: il Bridge in 10 minuti

Marina Causa 05In qualsiasi disciplina, l’incremento dei praticanti è l’imprescindibile garanzia per il futuro e il bridge non fa eccezione. L’operazione didattica è, grosso modo, costituita da quattro fasi:

  1. reperire gli allievi;
  2. incuriosirli, intrigarli e possibilmente appassionarli;
  3. fornire loro gli strumenti fondamentali per godersi il gioco;
  4. inserirli nel mondo del bridge.

Gli addetti ai lavori sanno che tutte le quattro fasi sono vitali: basta che una fallisca e tutta l’operazione va a rotoli. I meno esperti pongono una grande enfasi sulle prime due fasi, quasi nella speranza che poi tutto venga da sé, ma non è ovviamente così: se l’allievo viene proiettato nelle gare troppo presto, senza aver raggiunto un decente grado di preparazione, o se esiste un grosso divario tra quello che ha imparato e quello che gli viene richiesto nei tornei, prima o poi smette. La grande quantità di allievi degli ultimi vent’anni e l’incremento nullo della popolazione bridgistica sono lì a dimostrarlo. Questo elenco oggi pare ovvio, eppure sono stati fatti molti passi avanti rispetto ai primi “corsi” degli anni 70: a quei tempi – e per molti anni a venire – il punto “2” era praticamente inesistente. Chi si sobbarcava il compito di istruire nuovi adepti non si era posto molti problemi: per giocare una mano di bridge bisogna prima dichiarare un contratto e poi giocarlo, quindi l’ordine degli argomenti pareva ovvio e seguiva quello cronologico dell’evolversi della smazzata.

Dopo 10-12 lezioni tutte di licita senza mai vedere le carte, molti lasciavano perdere e abbandonavano. Iniziare dal gioco è stata la grande scoperta degli anni 80, ma da allora ben poco è cambiato; in questi anni la didattica si è modificata per far sì che chiunque avesse già DECISO di imparare il bridge lo potesse fare nel modo migliore. è una soluzione incompleta e vacillante: il problema che abbiamo, per la divulgazione del bridge, è incuriosire gente nuova, non convincere di aver fatto un affare quelli che si sono già iscritti, e istruirli con calma. Il punto “2”, insomma, è ancora un’incognita, ed è affidato alla speranza che, oltre alle doti di simpatia e coinvolgimento dell’insegnante, gli iscritti abbiano abbastanza pazienza da arrivare fino in fondo – tre mesi, circa – per comprendere il bridge nel suo insieme.

Torniamo all’inizio: c’è un momento magico, tra la prima e la seconda fase, in cui ci vengono poste delle semplici domande: “Cos’è il Bridge? Come funziona? Cosa si deve fare per vincere?”. Che si tratti della prima serata di un corso, oppure di una serata dimostrativa o, ancora, di una seduta con quattro amici curiosi, quelle domande sono assolutamente legittime da parte di chi deve decidere se dedicare del tempo a questo gioco. Difficilmente chi deve rispondere a queste domande, se si considera la complessità del gioco nel suo insieme, trova una risposta breve e soddisfacente: non può far altro che sostenere che il bridge è bellissimo, chiedere di essere creduto sulla parola e avvertire che occorre armarsi di pazienza: ci vorranno almeno 9-10 lezioni prima che i corsisti, alle prese con gli strumenti della competizione, possano afferrare quale sia il meccanismo finale, il “sangue del gioco”.

Troppo tempo, ci mettiamo troppo tempo… e la gente di tempo ne ha sempre meno. Presentare il bridge è sempre stata una sfida improba, c’è chi ha creduto di farlo con semplicità iniziando dal “fare le prese”. Ma la presa non è la risposta alla domanda “come funziona il bridge?” è solo lo strumento con cui si esercita. Il bridge è un’altra cosa. Tanti sport hanno forme di palestra iniziale: chi impara il tennis sa che farà un bel po’ di ore al muro, chi impara il golf tirerà palline, una dopo l’altra, su un tappetino al campo pratica. Ben poco divertente, ma a tutti costoro è noto lo scopo finale, il tennis e il golf si vedono in televisione e nessuno, messo a tirar palle contro il muro, può pensare che il tennis sia “tutto lì”. Il bridge è invece un’incognita assoluta: chi si avvicina la prima volta non ha la più pallida idea di cosa sia e non sa se gli piacerà o no.

La sfida è farglielo assaggiare, nella sua completezza, prima che s’iscriva alla prima lezione. Si può far giocare quattro persone a bridge in un’ora? Con tutte le regole che ci sono? Certo che si può, selezionando quelle informazioni che, facendo un parallelo con gli scacchi, sarebbero: “i pezzi si muovono così, e lo scopo è mangiare il Re all’avversario”.

Marina Causa 03Uno scacchista in erba farebbe mosse inconsulte (il suo avversario anche), gli angolisti esperti rabbrividirebbero, però quel che è certo è che dopo queste poche indicazioni uno dei due vince, l’altro perde, e… hanno disputato una partita a scacchi. Ne basta una, per capire come funziona. E allora perché non provare a spiegare la procedura del bridge come si farebbe con qualsiasi gioco di carte? Lo slogan del “bridge in 10 minuti”, nato 3 o 4 anni fa, non allude al tempo che ci vuole per imparare ma alla somma dei tempi di spiegazione nel corso di una seduta, intervallati da 4 o 5 smazzate giocate. Nella prima (ore 21.30) giocano… a prendere, nella quinta (ore 11.30) dichiarano parziali, manche o slam a senza e a colore e se li giocano (quasi sempre, contrati!). La sala si svuota tardissimo, in confronto alla classica “prima lezione del corso fiori”: non vanno più a casa, non si accorgono che è l’una. La sera successiva, che è la prima vera lezione, ci sono tutti, e hanno portato amici. E avendo già avuto un quadro completo del gioco, sono molto più predisposti a imparare come si muove un colore, o come si apre e come s’interviene: fanno palestra tirando palle al muro ma sanno che questo serve per quando avranno davanti una rete e un avversario che glie le rimanda.

L’approccio differente crea un entusiasmo completamente diverso. Inoltre, cosa di fondamentale importanza, possono giocare per i fatti loro, prima e dopo la lezione, a casa o al circolo senza aver bisogno della badante che gli metta un board preparato sul tavolo e gli dica cosa devono fare. Per chi non ha nessuna pratica d’insegnamento tutto questo continuerà a sembrare un’utopia, è difficile ripensare a quello che si conosce del gioco e selezionare quali siano le informazioni necessarie immediatamente e quali no. Si può giocare a bridge senza sapere che l’asso vale 4? Che si attacca con la più alta della sequenza? Che si apre con almeno 12 punti e nel colore più lungo? Certo che sì, tutte queste sono convenzioni, non regole di procedura. Se stiamo semplicemente presentando il gioco dobbiamo soprassedere e lasciare che si arrangino a buon senso, ignorando l’attacco di J da KQJ e l’apertura di 1 con AKQx anziché di 1 nel dieci quinto: non è il momento, non ancora. Ma è una regola che 4 cuori in prima valga 420, quella si. è una regola che su 1 picche non si possa dire 1 cuori, quella si. Con queste regole si può giocare una smazzata di bridge: una presentazione del gioco non è affatto una prima lezione, è come la foto di una torta su un ricettario. Ti piace? Vieni ancora e ti diremo gli ingredienti. Niente di nuovo sotto il sole, intendiamoci: quarant’anni fa, quando nei bar si giocava a carte, qualcuno ha imparato esattamente in questo modo (forse, con un’esposizione un po’ più confusa… ma di certo con l’idea del “tutto e subito”).

Certe forme di approccio in stile “minibridge” mi sono sempre sembrate un po’ bizzarre: è così utile far passare agli allievi due o tre serate in cui l’apertore dice “ho 14 punti con 5 picche e 3 cuori e 4 quadri e una fiori”? Ma se mette in tavola il cartellino di 1 picche non ci abbiamo guadagnato in tempo e divertimento? è un fatto di semplicità logica: “Ti spiego le regole del gioco, tu comincia a giocarlo ed io poi t’insegnerò a farlo meglio”. è ovvio che in altri sport occorra procedere per gradi per tutelare l’incolumità fisica degli allievi, ma a bridge questo problema non esiste, a meno di non avere un compagno grosso e nervoso. Se questo tipo di approccio, oltre agli istruttori federali, fosse insegnato a che intrattiene i turisti nei Valtur, a chi ottiene un padiglione per il bridge nelle fiere, a chi è chiamato al Lyons per una serata illustrativa, a chi presenta il bridge ai ragazzi in un liceo, a chi organizza un torneo all’aperto e ha a disposizione un tavolino libero e un intrattenitore per i passanti, otterremmo se non altro di smantellare la leggenda metropolitana di un gioco “difficilissimo e destinato solo a persone intelligenti”.

Ma i miei colleghi di Progettobridge, anche se convinti dai miei esperimenti personali della validità dell’idea, hanno sollevato il dubbio che si trattasse di qualcosa di bello e facile per gli allievi, ma estremamente difficile per il relatore. Per questo abbiamo fatto una prova, prima di decidere di impostare un videocorso con questa presentazione al fulmicotone. Abbiamo chiesto a un mio giovane allievo di radunare quattro suoi amici e di prestarsi all’esperimento. A tutti è stato precisato che l’unico sotto esame era lui: volevamo vedere se – nonostante avesse solo un anno di esperienza da giocatore – fosse in grado, con le dovute istruzioni, di farli giocare a bridge in una serata.

Lui se l’è cavata benissimo e i ragazzi anche: hanno giocato a oltranza finché il barista ci ha… scopati via perché doveva chiudere. Dopo quella serata ci siamo convinti che sia una cosa alla portata tutti, purché disposti a dimenticare per una sera la tecnica e ritornare all’essenza di ogni gioco: “Sapere le regole e cercare di vincere”. Un approccio di questo tipo, in cui tutte le informazioni successive, anziché presentarsi come “novità”, rappresentano tasselli di un quadro generale completo e già noto fin dalla prima sera, crea un clima differente rispetto ai primi corsi tradizionali: ogni insegnamento diventa una risposta alla domanda degli allievi “Come devo pensare, per vincere?”. Da questa sottile ma importante innovazione nasce Bridge Flash; i contenuti sono sostanzialmente identici a quelli di altri corsi propedeutici, ma lo stile è diverso: più idee, meno dettagli. Meditate, gente, meditate: addestrare al gioco è compito dell’insegnante, ma arruolare ed entusiasmare è alla portata di tutti. La diffusione e il futuro del bridge è nelle mani dei bridgisti, che possono fare molto più di qualsiasi dispendiosa campagna pubblicitaria, armati di un mazzo di carte e un tavolino. E dopo il battesimo… “Caro amico t’iscrivo”.

Le istruzioni per chiunque voglia sperimentare la procedura per avviare al gioco quattro amici si possono scaricare gratuitamente: clicca qui »

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Marina Causa

Marina Causa mangia pane e bridge da quando è nata;  quando non gioca insegna, quando non insegna scrive, quando non scrive pensa a cosa inventarsi di nuovo da scrivere. Ovviamente, sempre di bridge. Ha iniziato producendo materiale didattico con Toni Mortarotti  e poi, con Claudio Rossi e Progettobridge, una vasta gamma di software per allievi e non.  E’ stata 11 anni nella Commissione Insegnamento della FIGB e gestisce con una ventina di Esperti il Master Solver’s Club italiano tramite il concorso dichiarativo.  Maestro e formatrice giovanile,  è stata giornalista e accompagnatrice di squadre juniores e cadetti. Ha collaborato sia con BDI che con Slam. E alternando il gioco a tutto questo è riuscita anche a collezionare un palmares invidiabile.

Progettobridge s.a.s (Claudio Rossi, Marina Causa, Andrea Gastaldo) è una società di professionisti che fornisce strumenti informatici a chi voglia apprendere, approfondire o insegnare il bridge.

 

 

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