Il New York Times chiude la rubrica di Bridge

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nyt-logo-bLa fine della rubrica di bridge nel New York Times è evento doloroso per coloro che amano sia questo gioco sia la lettura dei quotidiani, ma altro non possiamo fare che ricordare cosa fosse questa rubrica.

La prima indiretta citazione del whist avvenne in chiesa. Era Natale del 1529 quando il vescovo Hugh Latimer fece ad Oxford il cosiddetto “Sermone delle Carte”, nel quale citò per la prima volta un gioco chiamato trump che doveva essere molto simile al whist, se non un sinonimo. Latimer usò il gioco come una metafora: il potere dell’atout sugli altri semi come il potere della parola di Cristo vincente sopra ogni altra cosa nel cuore dell’essere umano.

Il New York Times fu fondato dopo, nel 1851, ma presto crebbe, e presto il quotidiano e il grande gioco s’incontrarono, costituendo coppia fissa dal 1935. Il loro rapporto divenne sinergico in un modo che assomiglia a quanto talvolta avviene tra un grande teatro e il suo principale artista: il Metropolitan o la Scala, per esempio, ed Enrico Caruso, Carla Fracci, Maria Callas; né l’artista né il teatro hanno bisogno l’uno dell’altro per essere grandi, ma, insieme, ambedue divengono sempre più grandi.

Vediamo un esempio di questo nel bridge. Due anni fa pubblicai in Neapolitan Club un articolo su una coppia americana molto aggressiva; la loro apertura poteva essere debole fino ad un minimo di ♠AQxx  Axxx  xx  ♣xxx. Ma scrissi anche:

Parlando di aggressività in generale, è ritenuta un carattere del nostro tempo; questo però è vero solo se ci confrontiamo con gli anni cinquanta e sessanta, ma se diamo un’occhiata agli anni venti, un secolo fa, il nostro bridge appare roba da educande. Interventi e risposte a salto con zero punti erano la norma, e per quanto all’apertura a livello uno, guardate qui:

♠AKxxx xxx xx ♣xxx

Aprite 1♠, raccomandava Florence Irwin nel 1916, un’autrice tra le più importanti; teneva anche la rubrica di bridge del New York Times”.

Florence Irwin fu una grande teorica e scrisse diversi libri; è poco conosciuta perché l’Auction Bridge, il gioco di cui scriveva, scomparve alla fine degli anni Venti. Nell’articolo citato sopra dovevo spiegare al lettore di oggi chi era e perché la sua opinione contava così tanto; ho fatto tutto questo con sole cinque parole: redattrice del New York Times.

Chi ritiene che la rubrica debba sopravvivere può scrivere alla signora Margareth Sullivan, Public Editor del giornale: public@nytimes.com. Il “Public Editor” è la persona che si occupa dell’etica del giornale e dei rapporti coi lettori. Si può anche scrivere a Lettere al Direttore: letters@nytimes.com.

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Paolo Enrico Garrisi

 

 

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